"Chiara Merra: agilità, sensibilità e pedagogia vocale al servizio del canto lirico"
di Roberto Fasciano
Soprano lirico di coloratura, Chiara Merra nasce il 22 ottobre 1991 a Trani, città che conserva ancora oggi un legame profondo con le sue radici artistiche. Formata al Conservatorio "Niccolò Piccinni" di Bari, si perfeziona con maestri di spicco come Flora Marasciulo ed Eva Mei, sviluppando una tecnica solida e un timbro brillante, capace di spaziare tra agilità virtuosistiche e sfumature espressive più intime.
La sua carriera si distingue per una duplice dimensione: da un lato il palcoscenico operistico, con ruoli come Adina ne L'elisir d'amore, Barbarina, Palmetta e Gherardino, dall'altro l'attività di insegnamento e vocal coaching presso istituzioni come l'Accademia Musicale Arcadia e l'Accademia L'Opera. La costante collaborazione con il tenore e maestro Giuseppe Cacciapaglia testimonia la sua attenzione alla formazione continua e alla cura del dettaglio interpretativo.
Chiara ha partecipato a concorsi nazionali e internazionali, ottenendo riconoscimenti prestigiosi come il Premio Etta e Paolo Limiti e il primo premio al concorso Cristina di Svezia, esperienze che hanno contribuito a consolidare la sua presenza nel panorama lirico contemporaneo. La sua attività concertistica, in Italia e all'estero, le permette di confrontarsi con pubblici diversi, adattando l'approccio interpretativo alle peculiarità di ogni contesto.
Accanto alla carriera di interprete, l'insegnamento rappresenta per Chiara uno spazio di ricerca e sperimentazione pedagogica. Il suo metodo, riflessivo ed empatico, mira a creare un ambiente di apprendimento stimolante, valorizzando la crescita tecnica ed emotiva dei giovani cantanti.
Questa intervista si propone di indagare non solo il percorso artistico di Chiara Merra, ma anche la sua visione della scena lirica contemporanea, il rapporto con il repertorio e con gli allievi, e le prospettive future di una cantante che fonde talento, sensibilità e passione educativa.
Lei ha studiato al Conservatorio "Niccolò Piccinni" di Bari, perfezionandosi con maestri come Flora Marasciulo ed Eva Mei. Quanto hanno inciso questi incontri sulla definizione della sua identità vocale e interpretativa?
Gli anni di Conservatorio sono la sintesi di un periodo molto felice della mia vita, vissuti con intensità e consapevolezza poiché frutto di una scelta fortemente voluta e conquistata con estremo impegno. Gli studi accademici sotto la guida del Soprano F. Marasciulo sono stati fondamentali in particolare per la scelta del repertorio Operistico, "croce e delizia" di ogni cantante lirico, per citare Verdi. È importante sin da subito effettuare scelte mirate ed accurate per uno studio tecnico efficace, propedeutico a percorsi concorsuali e di repertori futuri. Per quanto concerne l'ambito tecnico-vocale, il perfezionamento è avvenuto in modo graduale, in un periodo successivo alla fase di formazione accademica in Conservatorio. Ho seguito grandi personalità dello scenario lirico ( Il grande Soprano Amelia Felle, a Roma; Il Tenore Giulio Pelligra; il M° Antonella D'Amico, a Verona), con l'intento di captare da ciascuno di loro caratteristiche peculiari del Teatro d'Opera che solo chi davvero ha calcato i palcoscenici può trasmettere, contrariamente al mero studio accademico, come lo stile interpretativo, lo studio della prosodia del libretto d'Opera supportata dal canto, e il perfezionamento della tecnica vocale. La mia identità vocale ed interpretativa dipende dalla varietà di studi e consigli ricevuti da ognuno di loro. Non sono mancate esperienze di Masterclass importantissime come quella con Eva Mei, Soprano di fama internazionale, specializzato nel repertorio di Coloratura. È stata una delle voci più ambite e richieste da tutti i più grandi Teatri di Tradizione del Mondo, come il Teatro alla Scala, giusto per citarne uno: grazie al suo incontro ho potuto mettere a punto delle sfumature interessanti e particolarmente complesse, proprie del repertorio lirico di coloratura, considerato uno dei più ostici e difficoltosi.
La figura del vocal coach Giuseppe Cacciapaglia accompagna il suo percorso: quanto è importante, oggi, avere un punto di riferimento costante al di là dei singoli progetti?
Quella del Maestro di strumento è una figura fondamentale nella formazione e nella specializzazione di un musicista. Deve essere "Magister", dunque incarnare i principi di vera competenza della disciplina e autorità del sapere, ma soprattutto "Mentore", vale a dire consigliere fidato e saggio. Nel contesto musicale non è sempre semplice trovare tutte queste caratteristiche in un'unica figura; spesso è necessario avventurarsi in una ricerca lunga e approfondita, incontrare diverse personalità ed affidarsi anche un po' al proprio istinto. Questo è accaduto quando ho incontrato il mio attuale Maestro, il Tenore Giuseppe Cacciapaglia: tecnico esperto della voce (inteso come strumento a tutti gli effetti) e ottimo consigliere in ambito di repertorio. Il mio percorso di perfezionamento con lui è in continua evoluzione, sempre contrassegnato da miglioramenti tecnici e sensazioni di benessere vocale, ovviamente confermate da valutazioni medico-foniatriche.
Adina ne L'elisir d'amore è un ruolo che richiede agilità, freschezza e ironia scenica. Come si è avvicinata a questo personaggio e quali sono state le sfide principali?
Quello di Adina, da l'Elisir d'Amore di G. Donizetti, è uno dei ruoli ormai consolidati all'interno del mio repertorio, nello specifico, uno dei primi che ho affrontato, già dagli anni di Conservatorio e che ho potuto approfondire e rinforzare in modo sempre più solido nel corso degli anni. Si sa, non si finisce mai di studiare un ruolo d'Opera! Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, essendo un melodramma giocoso, dal punto di vista vocale racchiude numerose insidie, soprattutto per i due protagonisti, Adina e Nemorino, per i quali è richiesta la padronanza nelle agilità (soprattutto nel registro acuto e sopracuto) unitamente a particolari capacità di tenuta di fiato a sostegno di un fraseggio più drammatico e legato del secondo atto. La sfida più grande è stata coniugare la precisione vocale e le esigenze registiche del personaggio: Adina è una donna colta, ricca, indipendente, ma anche un po' capricciosa e le intenzioni caratteriali devono necessariamente essere trasmesse attraverso un'equilibrata interazione tra padronanza vocale ed interpretazione scenica, messa a punto nei minimi dettagli. Proprio per queste ragioni sono molto orgogliosa di questo debutto.
Ha interpretato anche Barbarina, Palmetta e Gherardino: personaggi brevi ma intensi. Ritiene che siano stati tappe fondamentali per affinare la sua presenza scenica?
Apprezzo tanto i ruoli principali, come quello di Palmetta, quanto quelli di comprimariato. Tutti i ruoli sono importanti, poiché ognuno da' la possibilità di focalizzarsi su differenti obiettivi: l'Opera Lirica è complessa non solo per la difficoltà che comporta la composizione in sé (richiede tempi di studio lunghissimi e dettagliati) ma anche per la mistione con altre competenze come quelle attoriali, di interazione con i colleghi di palcoscenico, di concentrazione e di autoregolazione in momenti di forte stress e tensione. Anche i ruoli secondari rappresentano un grande esercizio per potenziare tutte queste caratteristiche.
Il suo repertorio spazia da Mozart a Donizetti fino a Traetta. Si riconosce in una precisa linea stilistica o preferisce mantenere duttilità per aprirsi anche ad altri repertori.
La mia vocalità è sempre stata molto duttile, caratterizzata da una facilità naturale nel registro acuto e potenza nelle agilità. Questo mi ha permesso di spaziare, anche in un periodo iniziale di studi, in più repertori (Pergolesi, Paisiello,Traetta, primo Mozart, Rossini,Donizetti, Bellini, e alcuni ruoli di Verdi e Puccini). Il lavoro specifico cui ho sempre puntato è sempre stato quello di andare oltre le propensioni vocali naturali e di focalizzarmi, nello specifico, sul potenziamento del registro medio-grave e di un maggiore legato nel fraseggio, soprattutto in periodi musicali che richiedono una resistenza di fiato piuttosto lunga e tenuta. Attualmente, la fisionomia laringea e, dunque, delle corde vocali, mi permette di addentrarmi in un repertorio più lirico mantenendo le colorature, seppur scritte in una forma compositiva diversa rispetto a quelle per eccellenza belcantistiche, come accade per ruoli più maturi mozartiani, spaziando anche nel difficilissimo mondo dei Singspiel. Non sono aperta ad altre tipologie di repertori, come quello leggero o, addirittura, Jazz, ecc. poiché non incontrano i miei gusti personali e quello lirico occupa già gran parte del mio continuo impegno di studio.
Ha ottenuto riconoscimenti importanti, come il Premio Etta e Paolo Limiti e il primo premio al concorso Cristina di Svezia. Cosa significano per lei queste vittorie e in che misura hanno inciso sul prosieguo della sua carriera?
Partecipare ai grandi Concorsi internazionali di musica lirica è fondamentale per i giovani cantanti. È un'ottima occasione per mettersi in gioco, mettere in pratica le proprie capacità sviluppate durante i percorsi formativi, esercitare le proprie abilità di affrontare lo stress performativo davanti ad una commissione giudicatrice e, soprattutto, mettersi alla prova! Spesso, la vincita di alcuni di questi ha rappresentato per me un grande trampolino di lancio in esperienze lavorative ma, soprattutto, delle opportunità di misurarmi, di provarmi ed aggiungere tasselli di esperienza al mio bagaglio musicale. Non meno importanti sono state le non-vincite o il non-superamento anche di fasi preliminari di altri concorsi (anche molto importanti nello scenario internazionale); queste occasioni hanno portato ad una autoriflessione profonda e all'individuazione di sempre nuovi obiettivi.
Ha cantato in Italia e all'estero, da Milano a Tirana. Che differenze ha percepito nei diversi pubblici e nel rapporto con i teatri?
Personalmente non ho percepito particolari differenze. Chi frequenta il teatro d'Opera, assiduamente o meno, lo fa perché è un reale fruitore o appassionato, che crede ancora nella magia che questo luogo può trasmettere al pubblico e alla sua capacità catartica.
Come vive la dimensione concertistica rispetto a quella operistica? Richiedono un approccio interpretativo differente?
Vivo le due dimensioni con la medesima serietà e il giusto rispetto verso il repertorio che sto eseguendo. Non avendo la passione per la composizione, la parte più interessante del mio lavoro diviene quella di studiare ed eseguire meravigliosi capolavori scritti da qualcun'altro, tenendo sempre in considerazione un equilibrato senso di responsabilità nel farli rivivere al meglio delle mie possibilità, che si tratti di un concerto o di una produzione operistica in teatro. Quest'ultima comporta, nello specifico, un impiego fisico maggiore per via delle lunghe prove precedenti alle recite effettive.
La sua generazione si trova davanti a un mondo operistico complesso, tra crisi dei teatri e nuove forme digitali di fruizione. Come legge lo stato attuale dell'opera e quale pensa possa essere il suo futuro?
La crisi del teatro lirico risale, ahimè, già ad un periodo precedente alla pandemia da covid-19 e non riguarda solo la diminuzione significativa di fruizione e quindi di entrate o la carenza di fondi a supporto delle Fondazioni Liriche, ma anche e soprattutto la precarizzazione dei lavoratori del settore, compresi gli artisti. Penso sia necessario un nuovo modello di coinvolgimento del pubblico, in particolare quello dei giovani, con la finalità di attrarre un'utenza quanto più vasta e diversificata e di confrontarsi con le sfide sociali contemporanee. Attivare laboratori di didattica musicale teatrale, sarebbe un'idea innovativa per avvicinare gli alunni, anche della scuola primaria, al mondo dell'Opera; in questo modo sarebbero più invogliati ad ascoltare uno stile musicale considerato inusuale o molto lontano dai gusti attuali.
Ci sono ruoli che sogna di interpretare nei prossimi anni e repertori che sente particolarmente affini?
Il ruolo di Donna Anna, dal "Don Giovanni" di Mozart, sta occupando gran parte del mio studio attualmente. Tecnicamente complesso, richiede maturità vocale ed interpretativa sotto ogni punto di vista. Le sue arie di furore rappresentano una sfida personale entusiasmante seppur comporti impegno ed abnegazione costanti.
Insegna canto in diverse accademie e scuole. Qual è l'approccio che ritiene più efficace per motivare e far crescere i giovani cantanti?
Ho trovato nell'insegnamento una via quasi provvidenziale. Ho dovuto provare per convincermene e le mie aspettative non sono state disattese. L'impegno nella didattica è stata una scoperta che mi ha sempre e sorprendentemente gratificata. L'approccio che cerco sempre di attuare e in cui credo profondamente è quello empatico. Mettermi nei panni dei miei allievi/alunni mi ha aiutato a scavare nella mia riflessione e ad essere, di conseguenza, flessibile nell'adattarmi alle esigenze di ciascuno, (più semplice nel rapporto 1:1 durante le lezioni individuali nelle accademie). L'adattamento è essenziale: nello stile di comunicazione, nella proposta di esercizi mirati e nella individuazione di obiettivi differenziati. Ognuno di loro cerca nel canto un'esperienza differente ed io cerco di accompagnarli nel proprio percorso di scoperta ed autoconsapevolezza che tale strumento non visibile ad occhio nudo può portare inevitabilmente. Ciò in cui mi impegno in modo particolare, inoltre, è il non creare paragoni con modelli irreali, come continuamente e maniacalmente ci viene proposto dal mondo dei social, e il trasmettere il valore dell'impegno costante e della fiducia in sé stessi.
Ha parlato di un metodo riflessivo ed empatico, con attenzione alle esigenze degli allievi. Quanto è importante l'aspetto psicologico ed emotivo nell'insegnamento del canto?
In parte ho già risposto nella domanda precedente. Aggiungo che la funzione fonatoria avviene in uno spazio che non possiamo vedere in diretta, durante lezioni o esibizioni, e produce un qualcosa che "proviene da dentro", come si suol dire. Ciò che si trova dentro, custodito nelle parti più intime e profonde di noi stessi, tendiamo spesso a proteggerlo e a custodirlo gelosamente. Dunque, l'aspetto emotivo è indissolubilmente connesso alla voce cantata e, spesso, l'impresa più audace per gli insegnanti di canto consiste proprio nel portare gli allievi verso uno sblocco emozionale, cercando di validare le loro reazioni e di approcciarsi con estrema comprensione e positività. L'emotività è parte integrante di una performance e contribuisce a rendere l'artista autentico ed originale.
Spesso i giovani cantanti si scontrano con aspettative e pressioni: quale consiglio darebbe a chi si affaccia oggi alla carriera lirica?
Non nego sia un mondo davvero complesso, usando un eufemismo, per tante ragioni che non sto qui ad elencare. Metterli in guardia ritengo sia la via più vera e giusta. Allo stesso tempo è importante far comprendere loro l'importanza dello studio continuo (anche dopo eventuali delusioni), sostenerli, permettere loro di aprirsi a quante più esperienze possibili e di apprezzare a pieno quelle che riescono a conquistare. Purtroppo, non a tutti vengono concesse.
Vede nel suo futuro un equilibrio tra palcoscenico e insegnamento, o sente che a un certo punto prevarrà una delle due strade?
Non ho pensieri a riguardo, o cerco di non averli. " Hic et Nunc" è l'unico principio che mi ispira nel presente.