Beat Onto Jazz Festival 2025: "Un'apertura tra consapevolezza civile e raffinatezza sonora"
di Roberto Fasciano
Con la sua ventiquattresima edizione, il Beat Onto Jazz Festival si conferma una delle rassegne più coerenti e visionarie del panorama musicale italiano. La suggestiva Piazza Cattedrale di Bitonto, spazio di risonanza estetica e simbolica, ha accolto l'1 agosto la prima serata della nuova edizione, diretta artisticamente da Amanuele Dimundo e organizzata con rigore dall'Associazione In Jazz. A introdurre la serata, l'intervento di Marco Losavio, che ha evidenziato anche la collaborazione con SANB per un'edizione "Plastic Free", sottolineando l'urgenza di un impegno concreto nella tutela ambientale.
L'avvio della serata è stato preceduto da una pacifica manifestazione pro Palestina: uno striscione con la scritta "STOP GENOCIDIO" e alcune bandiere issate in piazza hanno portato l'attenzione del pubblico su un tema di scottante attualità, configurando il festival non solo come luogo di fruizione artistica, ma anche come spazio consapevole di responsabilità civile.
Primo set – Freeman & Faraò 4tet: Coltrane come archetipo e tensione creativa
Il primo set ha visto in scena un quartetto d'eccezione, con il sassofonista americano Chico Freeman e il pianista Antonio Faraò impegnati in un omaggio intenso e personale alla figura di John Coltrane. Non una semplice operazione celebrativa, ma un percorso rigenerativo all'interno di un'eredità viva e pulsante, riletta alla luce delle personalità dei due protagonisti. In programma, brani coltraniani rielaborati e composizioni originali che si muovevano nel solco spirituale e strutturale dell'autore di A Love Supreme.
Freeman – che ha suonato per tutta la durata del set esclusivamente il sax tenore – ha mostrato una padronanza completa del mezzo espressivo, capace di spaziare dal lirismo interiore a impeti energici, sempre sostenuti da un fraseggio consapevole e da una tavolozza timbrica densa e profonda. Faraò, al pianoforte, ha confermato la propria statura di riferimento internazionale: ogni intervento era costruito con rigore architettonico, chiarezza di pensiero armonico e un virtuosismo mai fine a sé stesso, ma sempre al servizio della narrazione musicale.
Fondamentale l'apporto della sezione ritmica, formata da Giuseppe Bassi al contrabbasso e Mimmo Campanale alla batteria, che ha offerto un supporto solido, flessibile, perfettamente aderente alla direzione espressiva dei solisti. La complicità tra i quattro musicisti ha dato vita a un set vibrante e compatto, dove ogni episodio si è sviluppato come un processo collettivo, più che come una semplice somma di interventi individuali.
Secondo set – LJP Big Band & Seamus Blake: sinergia orchestrale e respiro globale
Nel secondo set, il palco si è popolato dei diciotto elementi della LJP Big Band, diretta con polso e visione dal chitarrista Dino Plasmati. Nata nel 2007 come laboratorio permanente, la formazione si distingue per l'eterogeneità dei suoi componenti – provenienti da ambienti sinfonici, jazzistici, operistici e funk – e per una progettualità sonora che attinge sia alla grande tradizione orchestrale (Thad Jones, Gil Evans, Carla Bley) che al jazz contemporaneo più contaminato.
A dialogare con l'ensemble, il prestigioso sassofonista Seamus Blake, ospite carismatico e versatile, la cui cifra stilistica ha trovato piena espressione in un repertorio articolato: brani tratti dall'album Growing Up si sono alternati a rielaborazioni del repertorio ellingtoniano, con arrangiamenti che hanno saputo coniugare rispetto filologico e tensione innovativa.
La Big Band si è distinta per compattezza esecutiva, raffinatezza timbrica e una gestione dinamica dei pieni orchestrali, mai ridondanti. Plasmati ha saputo modellare l'organico con equilibrio e intelligenza, evitando i rischi dell'eccesso sonoro e lasciando ampio spazio alle improvvisazioni solistiche. Blake ha risposto con una performance lucida, generosa, fatta di gesti musicali sempre comunicativi e di una straordinaria sensibilità nel relazionarsi con la complessità dell'ensemble.
La voce di Sara Rotunno ha aggiunto una preziosa sfumatura lirica alla densità orchestrale: le sue interpretazioni, misurate e timbricamente calde, hanno rappresentato un contrappunto espressivo efficace, ampliando la gamma emotiva della serata.
Conclusione – Il jazz come linguaggio critico e spirituale
La prima serata del Beat Onto Jazz Festival 2025 ha proposto due visioni complementari del jazz: da un lato, l'introspezione lirica e il tributo creativo del quartetto Freeman–Faraò; dall'altro, l'ampio respiro orchestrale e collettivo della LJP Big Band in dialogo con uno dei grandi nomi del sassofonismo internazionale. Entrambe le esibizioni hanno saputo coniugare memoria e innovazione, rigore e libertà, confermando come il jazz – al di là della forma – resti un linguaggio in grado di parlare al presente con profondità critica e forza spirituale.